martedì 26 novembre 2013

L'ostetrica

S aveva conosciuto A. per caso, durante una vacanza all'estero. Si erano piaciuti, si erano uniti e poi la distanza li aveva brutalmente allontanati. Ma ci avrebbero comunque provato lo stesso. Non aveva funzionato ma l'importante era averci provato, averlo vissuto. S aveva dovuto dichiarare la resa. A. non le dava più quello di cui lei aveva bisogno, era distante, ma non fisicamente, e seppur con ritrosia S aveva deciso che doveva prendere lei una decisione e l'aveva presa. con coraggio e determinazione. e soprattutto con convinzione. Credeva assolutamente di fare ciò che era più giusto. Ma nonostante questo, S sentiva la mancanza di A. paradossalmente la mancanza aumentava col tempo, piuttosto che affievolirsi. Fu così che un giorno di autunno che assomigliava tanto ad uno in inverno, i dubbi la tartassavano. Sarà stato il freddo, la casa vuota, la solitudine, la cioccolata calda venuta male, ma in quel giorno, A mancava molto più del solito. S continuava a porsi domande. "Cosa farà?", "Sarà con qualcun'altra?", "Mi penserà?" ma la domanda più pesante era "Gli mancherò?". Era questa domanda in particolare che non le dava pace. Aveva già preso il cellulare in mano un sacco di volte, scritto e cancellato messaggi, prima con una scusa come premessa, poi più smielati, ma li aveva comunque eliminati. La cosa andava avanti ormai da un po' e S cominciava a sentirsi immensamente stupida oltre che un po' codarda. Un bel respiro, sblocca lo schermo del telefonino e digita A nel campo del destinatario. Cosa scrivere? Mi manchi. Bam. Secco. Senza tanti giri di parole. Invio. E ora inizia la paranoia. "Risponderà? se si cosa? e se risponde come rispondo?". Ovviamente la risposta ideale sarebbe "anche tu" ma meglio non allargarsi troppo. Il cellulare squilla vibrando. è lui. "Io invece non lo so se mi manchi, ci devo pensare..." sbam... e ora? Meglio evitare una risposta pensa S mentre posa il telefono sul tavolo. Ricominciano i dubbi. "ho fatto bene a scrivergli?" A questo punto ci vuole assolutamente una cioccolata calda mentre si lotta contro i dubbi, per tirarsi su il morale e combattere il freddo, tanto quello dentro quanto quello fuori. E mentre sorseggia la sua Ciobar, il telefono sul tavolo squilla e vibra di nuovo... "A avrà una risposta?". S prende il telefonino in mano, ma le sue speranze si infrangono. Non è A, ma Emme. Emme è un amico che abita fuori, anche lui sta avendo un mega periodaccio, diciamo che non si sa chi dei due sta prendendo più sberle e muri in faccia. Emme però la aiuta a farla sentire un po' meno sola e ogni tanto le strappa pure un sorriso. Le fa capire che anche nella sfiga, anzi soprattutto nella sfiga, si è in compagnia. Il giorno prima, scherzando sul fatto che sia lei che Emme ultimamente avevano la vitalità di un cadavere, avevano elaborato piani diabolici per zombificare le persone e regnare su un mondo di depressi. lei poi non aveva più risposto. Emme le aveva scritto semplicemente "allora?". Emme cascava a fagiolo. 
S:ho scritto ad A che mi manca........
Emme: e?
S: ha detto che ci deve pensare
Emme: è un idiota
S: Dici? Perché?
Emme: a certe cose non c'è bisogno di pensare.
S: ho fatto una cazzata?
Emme: non sono nessuno per giudicare...
S: non giudicare, ma secondo te ho fatto male?
Emme: non credo. Pensi che non farlo ti avrebbe fatto stare meglio?
S: no secondo me il dubbio era peggio. almeno ora so se ci tiene una volta per tutte...
Emme: Voilà! Ti sei risposta.
S: Grazie :)
Emme: e di che? hai fatto tutto tu
S: lo so ma tu sei un ostetrica. non sapevo cosa pensavo finché non me lo hai chiesto.
Emme:  lo prendo come un complimento :) 

A volte abbiamo solo bisogno di domande, più che di risposte. Spesso le abbiamo sotto il naso e non ce ne accorgiamo. per fortuna esistono le ostetriche.  Prive(o quasi) di pregiudizi, ti tirano fuori quello che non sapevi di avere. Grazie Emme...

venerdì 4 ottobre 2013

Le Ossa Piene

“Not a lot of people know what it feels like to be angry, in your bones. I mean, they understand, foster parents, everybody understands, for awhile. Then they want the angry little kid to do something he knows he can't do, move on. So after awhile they stop understanding. They send the angry kid to a boys home. I figured it out too late. You gotta learn to hide the anger, practice smiling in the mirror. It's like putting on a mask.”


“Non molte persone, sanno come ci si sente ad essere arrabbiato, dentro le ossa. Quello che voglio dire, è che, sì lo capiscono, genitori adottivi, tutti lo capiscono... per un po’. Dopo però vorrebbero che il piccolo ragazzino faccia qualcosa che lui sa di non poter fare; andare avanti. Perciò dopo un po’ smettono di capire. Mandano il piccolo bambino arrabbiato in un riformatorio. Io l’ho capito troppo tardi. Devi imparare a nascondere la rabbia, esercitarti a sorridere allo specchio. È un po’ come mettersi su una maschera.”

(liberamente tradotto e interpretato dal film Batman – The Dark Knight Rises).

Adoro questo pezzo del film in cui il poliziotto Blake fa questo discorso a Bruce Wayne alias Batman. è un discorso breve, ma intenso e carico, che riesce a descrivere bene come ogni tanto noi stessi mentiamo spudoratamente, annullandoci pur di non essere visti deboli. e questo non vale solo per la rabbia. e spesso dimentichiamo una cosa molto più importante di questa. non tanto di mettere la maschera per sopravvivenza, ma ci scordiamo che non siamo gli unici a voler sopravvivere e che pertanto la nostra non è l'unica maschera, e prendiamo invece per buono il volto di qualcosa che non è altro che una mistificazione di chi c'è dietro. Non bisogna fermarsi alla maschera. non con tutti. per quanto sfigurato e brutto possa essere il volto che vi è celato dietro ogni tanto è bene mostrarlo a coloro i quali fanno perlomeno lo sforzo di allungare una mano, ma non per strapparla violentemente e rubare un segreto, ma che con delicatezza la sfilano per aiutare ad alleggerire il peso di quel volto.

giovedì 3 ottobre 2013

Il Vento In Poppa

Nebbia. Massa informe di vapore. Staziona sulla strada. se fitta non riuscirai a vedere nemmeno ad un palmo del tuo naso. se ci punti una luce contro vedrai solo un muro bianco, stabile ma non solido, sembra fermo, immobile, ma in realtà si muove cambia forma, confonde, ruota intorno. Nella nebbia non esiste direzione, non esiste né la destra né la sinistra. Non esiste né il prima né il dopo. Il tempo è solo scandito dal tuo respiro. è la paralisi. il movimento sembra un vano sforzo verso una via d'uscita che è nascosta sotto una coltre nebulosa. Da dove iniziare? fare il primo passo. ma dove? in quale direzione? e se la direzione fosse quella sbagliata? e se mi portasse dove non voglio. Inizia a camminare. muovi con attenzione i piedi, un passo alla volta, lentamente, un passo alla volta, la luce puntata su quei pochi centimetri davanti alle scarpe. pensi che se sei fortunato uscirai da qualche parte con solo un po' di spavento. forse non dove volevi o ti aspettassi, ma sei fuori, la nebbia è dietro, la strada è di fronte e in qualche maniera il viaggio andrà avanti. Giri e giri, ma è inutile, c'è solo una massa vaporosa ovunque tu metta piede. panico. inizi a correre, quasi volessi batterla in velocità, ti sfianchi fino a che, con il fiatone non ti fermi. le mani sulle ginocchia, ansimando. non ne uscirai. cominci seriamente a credere che non ne uscirai. qualcosa però si muove. dapprima è un leggero turbinio ma poi lo senti. Vento! la nebbia si muove, si contrae, si distorce, quasi avesse degli spasmi. poi lentamente come acqua che scorre su un vetro lentamente, scivola via. la brezza accarezza il viso, schiudendo un sorriso. la strada è lì. il cammino ricomincia, col vento in poppa. "blowing in the wind"

lunedì 29 luglio 2013

La divisa

In questa settimana ho avuto un paio di incontri ravvicinati con le forze dell'ordine, in particolare l'Arma dei Carabinieri. Il primo è stato martedì, eravamo in auto con un paio di amici tedeschi, auto targata Siegen. Veniamo fermati a 100 metri da casa alla stazione. Il carabiniere, con molta simpatia e cordialità, ci intima in perfetto italianese: "Documenti". Si salve buonasera anche a lei... Gentilmente traduco al mio amico tedesco alla guida che deve dargli la patente, l'assicurazione e il libretto. Non trovando irregolarità purtroppo per lui, il carabiniere gioca la carta del "datemi i documenti anche voi due". Ritraduco in tedesco. La ragazza tedesca non si è portata dietro il portafoglio e quindi non ha il documento. Io do invece patente e tessera sanitaria poiché sprovvisto di carta d'identitàm e la patente era parecchio consumata. Il carabiniere prende la patente, la guarda, e sempre in maniera molto educata mi dice "e io con questa che cosa ci devo fare scusa?". Faccio notare all'aquila che basta che controlli il numero di patente e incroci i dati della tessera sanitaria. Sconfitto, l'aquila batte bandiera bianca, stasera niente multa. Questa sera invece tornavo da una serata con amici fuori Genova. Eravamo in scooter io e un mio amico, A. che è venuto a trovarmi dall'Alto Adige per alcuni giorni. Guidava lui lo scooter. Veniamo fermati a un posto di blocco appena entrati in città. Paletta, segno di fermarsi. A. saluta l'appuntato cordialmente con un buonasera tirando già prontamente fuori i documenti. Eravamo stanchi ce ne volevamo andare a casa ed eravamo puliti. Il carabiniere è di una affabilità disarmante. Al nostro buonasera, risponde allungandoci l'aggeggio per il controllo del tasso alcolico con un simpaticissimo "tiè soffia". A. soffia tranquillamente, si accende la spia verde che segnala che il conducente è a posto. E qui arriva l'apoteosi: il carabiniere era così felice di aver beccato qualcuno perfettamente rispettoso delle regole che ci saluta con un "vattene va!". Ce ne andiamo allibiti... Tornato a casa apro il pc e leggo la notizia della scarcerazione degli assassini di Aldrovandi. La divisa a volte rende arroganti, e in alcuni casi la divisa rende addirittura liberi...

venerdì 7 giugno 2013

Sempre Troppo Pochi

Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Paolo Scaroni, Gabriele Sandri, gli orrori della Diaz, ma anche Falcone e Borsellino con le rispettive scorte. In ciascuno di questi avvenimenti (e ce ne sarebbero altri) lo Stato era assente o ha fatto gli interessi di pochi. Ha fatto gli interessi di pochi quando nei giorni scorsi ha condannato solo i medici nella vicenda Cucchi. Ha fatto gli interessi di pochi quando ha fatto i depistaggi alla scuola Diaz, episodio di macelleria, non di violenza. Ha fatto gli interessi di pochi quando ha lasciato che Falcone e Borsellino saltassero per aria, e quando ancor prima la stampa e i media li attaccavano duramente. Fa gli interessi di pochi quando a seguito di una sparatoria a Montecitorio da parte di un uomo disperato, la risposta che dà è l'aumento delle scorte. Fa gli interessi di pochi quando militarizza un cantiere ferroviario. Fa gli interessi di pochi quando L'Aquila è ancora morta sepolta sotto le macerie. Fa gli interessi di pochi quando alza mette l'IMU ma non fa una patrimoniale. Fa gli interessi di pochi quando non tira per la giacca i grandi industriali che dopo aver spremuto risorse e capitali fuggono all'estero. Fa gli interessi di pochi quando alza il dito medio a chi protesta davanti ai "Palazzi". Fa l'interesse di pochi quando ignora i referendum. Fa l'interesse di pochi. Sempre. Ma la colpa non è solo dello Stato. Nemmeno di quei pochi che lo "Stato" protegge, favorisce o tutela. La colpa è di tutti. E se si continua così i pochi non saranno più solo quelli con gli interessi; ma pochi saranno quelli che nello "Stato" continueranno a crederci e a viverci. Saranno sempre i  troppo pochi o finalmente anche i tanti cominceranno a rivendicare i propri interessi?
MC